APOCALISSE, RIVELAZIONE DI GESU’ MESSIA
PENSIERI LEGGENDO
Da un testo introduttivo di Mario Luzi al Volume “Apocalisse, rivelazione di Gesù Messia” a cura di Gianantonio Borgonovo, ripreso nelle parti scelte e commentato in chiusura.
La profezia, la escatologia di cui anche l’Apocalisse fa parte erano misure e forme intrinseche alla mente religiosa e anche al gusto letterario della tradizione veterotestamentaria ed è stato osservato come trabocchino episodicamente anche nel Nuovo Testamento.
Quanto per un lettore moderno, sia pure predisposto, si risolve in una pura fantasmagoria sacra, oppure contiene ammonimenti e avvisi?
Di sicuro il testo che abbiamo di fronte assume una eccezionalità lampante, ma proviene da una tradizione letteraria ancora viva ai tempi di Gesù.
Nell’Apocalisse siamo continuamente posti di fronte a figurazioni.
La prospettiva temporale applicata all’Apocalisse non regge, slitta, sfugge da ogni parte. Non è omogenea con il singolare tenore del profetare secondo la misura coerente del tempo umano.
Tuttavia c’è un clima di grande inquietudine, di timore, di attesa spaventata dal giudizio; nonché una minaccia catastrofica che incombe come un ordine punitivo negli avvenimenti. Difficile ritenere tutto questo una necessaria affermazione del Dio vittorioso.
Che cosa si vuole disvelato e nello stesso tempo occultato all’uomo mediante questa profezia? L’uomo è chiamato in causa come spettatore di un trionfo e di un potere sovrumano. Eppure questa primaria ostensione di gloria e di di forza lo concerne direttamente come oggetto della sua autorità e giudizio: l’Umanità è l’elemento vile su cui si rovesciano calamità e castighi.
Si può presumere che il fine dell’Apocalisse sia l’affermazione di una grande disparità tra il divino e l’umano.
Solo se riusciamo a tenere stretto questo nesso tra il pericolo imminente e le offerte di scampo, il testo dell’Apocalisse può avere presa su di noi. Esso non è commemorativo, non è incitativo, ma trasfigura una situazione permanente dell’uomo mortale.
Perché l’umanità deve subire tante prove? Qual è il debito degli uomini, che cosa debbono espiare? Questo è il grumo oscuro che è difficile sciogliere: siamo associati al dramma del mondo, siamo chiamati a farne parte? O dobbiamo per meraviglia assistere a una definitiva vittoria?
Così inteso ben poco rimane di “apocalittico” nella nostra corrente accezione di “apocalisse”, che intendiamo comunemente come catastrofe., ma che ora possiamo vedere come promessa e consolazione. Rivelazione di un destino oltre la storia.
L’apocalisse che abbiamo vissuto nel secolo scorso, nelle sue varie fasi, non ci dice granchè in quanto a svelamento, ed è anche troppo banale come prefigurazione del futuro. Abbiamo visto soprattutto la distruzione dell’uomo come creatura; la sua cancellazione come entità distinta, la sua nulificazione come individuo in sé compiuto e dunque la sua riduzione a numero, la sua svalutazione totale come essere vivente. Lo abbiamo visto nella massificazione; lo abbiamo visto nel genocidio nazista; nell’universo concentrazionario sovietico.
In questo senso l’uomo nell’occhio del ciclone è forse il meno idoneo a ricevere il conforto e l’ammonimento della profezia che lo riguarda. Di riflesso nasce il sospetto che la profezia non lo riguardi e che la grande ostensione sia nel Cielo per i celesti e sia al termine di una contesa capitale in cui il Male sia stato vinto e a Satana rimanga un forte ma angusto potere.
L’eccezionalità dell’Apocalisse infatti è l’effetto dell’enfasi di prodigi e aspettative impliciti nella religione come tale.
C’è da tener conto di una predilezione profetica della mente israelitica, di cui un filone è particolarmente caro alla sensibilità e alla fantasia degli Ebrei, tuttavia si entra nel religioso, forse nel religioso al quadrato quando sprofondiamo nelle pagine dell’uomo di Patmos.
Il paradosso che colpisce la nostra mentalità occidentale, è che lo svelamento inerente alla nozione stessa di apocalisse si sviluppi in una serie di visioni da decifrare.
Eppure questa fusione di manifestato e occultato entra nella Poesia dell’Europa a partire da Dante, che non la riesuma, ma ne prolunga la tradizione poco divulgata ma costante nella cultura religiosa.
Qual è il tema, qual è il contenuto dello “svelamento” giovanneo? Quali i vari argomenti dell’allegoria? Che lo spirito è all’erta, la realtà è subdola, l’Ordine e Superiore comunque.
La natura profetica è metamorfica, nessuna visione è ferma nelle sue immagini. Tutte traboccano di significazione simbolica e trapassano ciascuna a quella successiva.
L’anima in questo testo è il mutamento più che la rappresentazione.
“L’Angelo mi mostrò il fiume d’acqua della vita, limpido come il cristallo che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla pazza della città e al fiume che scorre da una e dall’altra, c’è l’albero della vita che produce dodici frutti, dando un frutto per ogni mese; e le sue foglie servono da farmaco per le nazioni” (Apocalisse 22.1-2)
Visionarietà e limpidezza si fondono.
L’Apocalisse è un genere letterario parallelo alla letteratura neo testamentaria. Ma nessuna apocalisse precedente o seguente ha di questa di Giovanni la forza, la luce, l’autorità.
A un tempo attuale di iniquità, miseria e ingiustizia inflitto per qualsiasi empietà commessa succederà l’ora del trionfo della giustizia. Il tema della giustizia finale e definitiva è la costante di questi componimenti come lo è del pensiero e dell’animo dell’ebraismo. Varie apocalissi di metodo e sciola differenti. Ma un punto in cui convergono tutte c’è: la contrapposizione tra i tempi catastrofici della storia umana e lo splendore dell’eternità in cui matura la vittoria di cristo, il Regno, la salvazione.
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Libertà e destino. L’uomo senza illusioni mondane ma con accresciuta responsabilità in vista di un rapporto non sindacale col divino come il Sisifo di Albert Camus che scopre in cima alla collina dove è condannato a portare il masso che tutte le volte ricade e che ogni volta deve spingere in alto, senza fine e inutilmente, scopre riflesso nella roccia da un raggio di sole il proprio volto di uomo e comprende che lo scopo è quello, è lui stesso, è il modo e non il fine in sé. Ed è felice.
Per seguire il dialogo tra Mons. Gianantonio Borgonovo, Arciprete del Duomo di Milano, Rav. David Elia Sciunnach, Assistente del Rabbino capo di Milano e coordinato da Armando Torno, nella Biblioteca del Centro internazionale di Brera il 20 giugno 2023: https://www.radioradicale.it/scheda/701447
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